Per chi non l'ha capito - e sono la maggioranza - trattasi della storia di uno scrittore di successo Jep (servillo), che ha fatto successo da giovane e ora, che è vecchio, capisce che che la sua vita passata a divertirsi (poco) e ad apparire (tanto) nei festini dell'alta borghesia romana, in fondo è stato tempo sprecato.
Questa rivelazione lo porterà a tornare a scrivere, quarant'anni dopo. E lo veniamo a sapere proprio negli ultimi secondi del film, un film felliniano, lunghissimo e quasi senza storia, proprio come i film di Fellini. In più di Fellini ha però questa forte critica sociale molto ben celata, all'arroganza dell'eccesso e del lusso. L'unica velata polemica che mi viene da fare nei confronti dell'audience italiana sbadigliante, è: perché tutti applaudite come foche al circo Fellini e questo che ne è del tutto simile invece non piace e annoia? Ve lo dico io, il perché. Perché siamo un popolo di pecoroni, in cui pochi hanno il coraggio di un opinione personale. Altra grande cosa che viene messa in risalto dal film, per inciso.
L'ho visto in tv, come tanti altri e non me ne vergogno affatto, e penso che bisogna scendere dal piedistallo dell'intellettualismo, senza magari scadere negli abissi di grettezza e bagaglino, così ben descritti dall'opera in questione.
La pellicola è nient'affatto un omaggio alla bellezza italiana o a quella di Roma, ma un omaggio alla bellezza di ogni singolo caso umano presentatoci: dai conti che si vendono a serata (mi sono rimasti impressi), alla spogliarellista malata, triste e sola figlia del magnaccia, al prete che fa di tutto per essere il centro dell'attenzione della cena senza riuscirvi e poi va via ingrugnito sul suo lussuoso Suv, agli scrittori pseudo-intellettuali debosciati e decaduti, amici del protagonista. Un protagonista che come tutti nel film, fingono e dissimulano di avere un ruolo e di essere altri e altro da ciò che sono, per nascondere la loro pochezza, i loro vizi, le poche virtù, la vecchiaia, la morte.
Sorrentino aiutato dal suo enorme attore, Peppe Servillo, vera maschera di ogni (o quasi) suo film, è diventato negli anni il mio regista preferito, il che, non ve ne fregherà niente, ma è compito arduo. E' il suo film più impegnativo. E chi dopo averlo visto "deve ancora metabolizzarlo", è purtroppo un altro spettatore abituato a spettacoli andrenalinici e film sparati ai cento all'ora, ricchi di citazionionismi futili o di effetti speciali, per non far annoiare un pubblico abituato a consumare il film, più che a vederlo come un opera d'arte, quale dovrebbe essere. E come opera d'arte, anche La Grande Bellezza può essere definito anche "La grande noiezza", come ho visto scrivere a uno molto popolare che considera Youtube una gran cosa, o "una cagata pazzesca", in un meme di Fb che scimmiottava un altro colosso del cinema italiano come Fantozzi. Tutte le opinioni sono valide e equivalenti di fronte a un opera d'arte.
Prima di mettermi alla visione, avevo già giudicato il film e gli americani che lo hanno insignito dell'Oscar come null'altro che un insieme di stereotipi dell'italiano medio, cazzeggiatore e sognatore, che all'americano medio piace molto.
Dopo averlo visto, devo ricredermi. La Grande Bellezza è anche la grande bellezza della lentezza della narrazione, ma non dello stereotipo. Ci sono molti "tipi" umani a noi familiari in Italia, macchiettistici nelle loro bizzarrie molto felliniane e molto italiane, ma mai banalizzati.
Vivevo di pregiudizi, e mi sono ritrovato a vergognarmene, come dovrebbe accadere sempre.
Spero tuttavia che al di là del singolo film, attore o regista, il premietto internazionale dia visibilità all'industria culturale di qualità che ancora esiste in Italia e che ha bisogno, appunto, di visibilità e considerazione, e non solo di denari pubblici, spesso usati male.
Commenti
anche io ho letto alcuni che accusavano la noia, pensandone male e pensando male di chi li accusa di non essere Italiani perché non sono orgogliosi a prescindere di cose che fanno l'Italia nota, ma in questo caso tutti le posizioni prese sono sbagliate, per qualche motivo.
Come puoi essere orgogliosi di un film che é la summa della critica alla società in cui vivi? Se lo sei o non hai capito nulla, o non vivi nella società citata, se non lo sei non apprezzi lo sforzo di mettere in luci i difetti del mondo in cui viviamo.
Alla fine penso che lo vedrò (me culpa!) e deciderò strada facendo se vergognarmi o non capire di cosa si sta parlando.
Saluti Teutonici,
da Berlino é tutto.
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